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Immagine del redattorejessica buda

Quando "l'amore" ferisce

Il 25 novembre si celebra in tutto il mondo come la Giornata Mondiale Contro la Violenza sulle Donne, istituita con l’intenzione di stimolare la riflessione su un tema importante e delicato, che spesso viene minimizzato. A richiamare l’attenzione su questo tema sono spesso fatti di cronaca che raccontano di efferati casi di femminicidio, ossia di omicidi commessi nei confronti di donne e che rappresentano il culmine della violenza.

Spesso, quello che viene raccontato è però soltanto la fine di una vicenda lunga e complessa. Questo sbilanciamento dell’attenzione sulla “fine” invece che sull’intera vicenda toglie spazio a tutto quello che è stato il “prima”. Ci si può così dimenticare che la “fine” è spesso la punta di un iceberg con radici profonde fatte di sogni, speranze, desideri, paure, ansie, dolori. Ridurre la narrazione della storia di violenza al solo finale rende sfocati i percorsi che possono portare a trovarsi in una situazione simile, impedendo ad altri di riconoscervisi in tempo.

Aspetti Psicologici

La maggior parte di queste storie nascono all’interno di rapporti sentimentali, cioè all’interno di relazioni sfaccettate in cui si mischiano vissuti emotivi di ogni tipo e intensità. Gran parte delle relazioni d’amore tendono ad evolvere nella ricerca di una vita insieme con la promessa di costante fiducia, rispetto e sostegno reciproci. In alcuni casi, tuttavia, queste promesse possono gradualmente sfumare nella nebbia di una realtà diversa. In queste situazioni la consapevolezza che qualcosa non funziona può arrivare dopo molto tempo o anche non arrivare mai.

Inoltre, anche quando si è compreso che le cose non funzionano può esserci la tentazione di “provare a sistemare tutto”. Anche nelle situazioni più complicate, provare a preservare un rapporto può assumere il significato di salvare una parte di sé, della propria storia e dei propri sogni. Ci si sente in dovere di adattarsi, di capire e normalizzare quello che non va, e si va avanti sopportandodenigrazioni, insulti e comportamenti controllanti. Si modificano abitudini, si chiede scusa, si dicono certe cose e non altre per non far arrabbiare il partner. Ci si sente anche in colpa. A volte si va avanti così per tutta la vita, convincendosi che va bene, confondendo il controllo con una manifestazione d’amore e ignorando tutte le sensazioni interne che raccontano che qualcosa non va.


Quando l’aggressività diventa anche fisica, è più difficile continuare a dirsi che tutto va bene. Ma diventa sempre più difficile chiedere aiuto e parlarne con un amico o un famigliare perché si possono provare vergogna, timore di non essere creduti e aiutati, o paura che il partner lo venga a sapere. Si può pensare: “in fondo non capita sempre, è solo stress”; si può avere paura del giudizio di chi chiede “perché non te ne sei andato via?”, come se tutta la fatica per mantenere insieme i pezzi di qualcosa che sembrava importante non avesse valore, anzi.

Nella vita di tutti i giorni non abbiamo accesso al fotogramma finale della nostra storia. Sappiamo che tutte le coppie litigano, che a volte quando si è arrabbiati si dicono cose dure e che un po’ di gelosia in fondo è normale in un rapporto… Come capire se la nostra è una storia di violenza?

Il primo passo è ascoltare le proprie emozioni e il proprio corpo, prestando attenzione all’insorgere di segnali di malessere quali ansia, tensione, insonnia, calo dell’umore. Inoltre, è essenziale concedersi la possibilità di parlare con qualcuno di fiducia dei problemi che insorgono nella propria relazione. Condividere con qualcuno le proprie preoccupazioni può aiutare a guardare la situazione da un’altra prospettiva e a capire se quello che succede è davvero “normale”.

Chiedere aiuto, denunciare e allontanarsi possono essere passi decisivi per riscrivere il proprio percorso.

Aspetti Giuridici

Esistono vari tipi di violenza: fisica, psicologica, sessuale ed economica. E’ bene porre l’attenzione sul fatto che la violenza non è solo quella fisica, rappresentata dalle percosse, lesioni lievi e gravi, ma esistono anche altri modi per esercitare violenza:

  • Psicologicamente, ponendo in essere delle condotte che si estrinsecano, in reiterati insulti, minacce, svalutazioni continue, umiliazioni e critiche ingiuste ed infondate, ovvero tattiche del silenzio che tendono a far sentire inadeguata ed in colpa la persona, gelosia ossessiva, possessività, e in molto altro;

  • Sessualmente, costringendo la propria partner ad avere rapporti sessuali senza consenso ovvero ottenendo un falso consenso;

  • Economicamente, rendendo impossibile l’accesso all’indipendenza economica della partner e rendendola inevitabilmente e totalmente dipendente dal suo carnefice.


Il nostro paese, sebbene con estremo ritardo (v. Abrogazione del delitto d’onore nel 1981), sta raggiungendo consapevolezza del problema che affligge la nostra cultura, fondata sul patriarcato e sulla figura dell’uomo come figura dominante, anzi predominante sulla donna. Ciò lo si evince anche dall’ultima riforma del 2019, che ha introdotto il c.d. Codice Rosso con l’obiettivo di potenziare gli strumenti di indagine, di accelerare i tempi, inserimento di provvedimenti cautelari e preventivi, attraverso un intervento sulle tempistiche e sulle modalità di svolgimento delle fasi del procedimento penale.

Tra le novità più importanti:

  • l’immediata trasmissione della notizia di reato al Pubblico Ministero, il quale deve sentire la persona offesa entro 3 giorni dalla ricezione della querela;

  • l’introduzione del reato che punisce il “revenge porn”, art. 612-ter c.p.;

  • l’introduzione del reato di costrizione o induzione al matrimonio, art. 558 -bis c.p.;

  • l’introduzione del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, art. 583-quinquies;

  • L’introduzione del reato di violazione del provvedimento di divieto di avvicinamento e dell’allontanamento dalla casa familiare, art. 387-bis;

  • inasprimento delle pene relative a reati già esistenti;

  • comunicazioni alla persona offesa del reato delle informazioni relative alla scarcerazione o evasione del suo carnefice, art. 90-ter c.p.p.

In conclusione, il nostro Legislatore si sta muovendo nella direzione giusta, sebbene la strada da percorrere sia molta. Ciò detto, è importante per l’evoluzione della società moderna che le donne trovino la forza per rialzarsi e denunciare i loro carnefici. E’ importante riconoscere i segnali di allarme ed allontanarsi prima che la relazione diventi tossica, nulla può e deve essere giustificato, neanche una sberla data per un “raptus” d’ira.

Ricordate il numero di emergenza anche in periodo di pandemia, il 1522, attivo 24h su 24h, contro le violenze e lo stalking.

Perché se c’è violenza, non c’è mai amore.


A cura di dott.ssa Giulia Franco – Psicologa Psicoterapeuta avv. Jessica Buda






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